Nascita, breve storia, morte (e resurrezione?) del rap italiano

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C’era una volta il rap, genere musicale fatto da pochi, ascoltato da pochi, apprezzato da pochi. Nato negli Stati Uniti alla fine degli anni sessanta, facente parte di un movimento culturale chiamato hip hop, il rap ha cominciato a diffondersi in Italia solo negli anni Novanta.

Proprio nel 1990 si formano a Milano gli Articolo 31, duo composto da J Ax e Dj Jad: sono loro i primi ad ottenere un discreto successo “rappando”, portando nelle radio italiane canzoni che passeranno alla storia come “Tranqui Funky” e “Domani”.

Nel 1993 è la volta dei Sangue Misto, il gruppo formato da Neffa e compagni, il cui album SxM viene ancora considerato una vera colonna portante dell’hip hop italiano (la celebre rivista Rolling Stone lo ha inserito al 25esimo posto nella classifica dei 100 album italiani più belli di sempre).

Questi due gruppi non sono però gli unici a cercare di cimentarsi in questo genere: verso la fine degli anni Novanta tra i nomi più influenti sulla scena ci sono Kaos, Fabri Fibra, Joe Cassano (deceduto nel 1999), Frankie hi-NRG.

Sono tuttavia anni in cui i rapper restano dei semplici amatori, inseriti in una nicchia di pubblico e mercato: sono infatti pochissimi a raggiungere popolarità o, addirittura, ad essere anche solo trasmessi in radio.

Gli anni 2000 vedono l’inizio della svolta del rap italiano: nel 2003 viene pubblicato “Mi Fist” dei Club Dogo, tre ragazzi milanesi che sembrano avere le carte in regola per raccogliere l’eredità degli Articolo. Il loro primo cd (pubblicato sotto il nome di “Sacre Scuole”) è un vero capolavoro del rap nostrano. Ma ancora in pochi si accorgono di questo mondo, trattato come un sottoscala della società – più che per veri e propri demeriti, per la mitologia che arriva da oltreoceano; ancora meno, poi, sono coloro che sono disposti ad aprire i loro canali per fornire a questo genere un po’ di visibilità.

È un periodo in cui il rap viene quasi esclusivamente importato dagli Stati Uniti, con Eminem in testa. È il 2008 quando il vento cambia decisamente: con “Dogocrazia” dei Club Dogo, il primo disco solista di Marracash che porta il suo nome, il ritorno sulla scena di J Ax, il rap comincia a diventare molto più “popolare”.

Questo è l’inizio della fine: sulla cresta dell’onda nascono “rappers” alla velocità della luce, tutti sembrano saper rappare, e tutti sembrano essere diventati, dall’oggi al domani, grandi fans di questo genere musicale.

La scena si popola di ragazzini tatuati e con la faccia da “cattivi”: Fedez, Emis Killa, Moreno. In tutto questo, l’età media dei fans sembra scendere a picco. Il rap italiano è, oggi, un genere per ragazzini delle superiori che credono di aver scoperto l’acqua calda. E, se una volta il rap si prendeva la briga di affrontare anche tematiche sociali, ora non ci si pensa nemmeno: anzi, più i testi sono ricchi di parolacce, slang giovanile e luoghi comuni meglio è.

Ovviamente, i “padri fondatori” del rap italiano non son restati a guardare senza fare nulla: e infatti, hanno peggiorato il quadro. Ad esempio, i Club Dogo toccano il gradino più basso della loro storia musicale pubblicando “Noi siamo il Club”, contenente PES, canzoncina stupida e banale, che purtuttavia diventa una delle più ascoltate dell’estate 2012.

Tutti felici e contenti? Più o meno. Per chi avesse ancora voglia di ascoltare del rap – quello vero – ci sono ancora delle ancore di salvezza. Bisogna però andare a cercare questi artisti nei luoghi più piccoli e anonimi delle città italiane.
A Torino, ad esempio, nascono nel 2003 i OneMic, tre giovani talentuosi che, seppur aver ricevuto qualche soddisfazione in più negli ultimi anni, non godono assolutamente della popolarità che meriterebbero.

Sempre agli inizi degli anni 2000 e sempre a Torino comincia invece a lavorare Vox P, produttore e rapper. Durante gli anni si fa conoscere grazie a diverse collaborazioni, scrivendo rime per moltissimi artisti della scena nazionale. È solo nel 2013 che vengono pubblicati i primi estratti tratti da “Il Rovescio della Piramide”, il suo primo disco ufficiale.

Un po’ più a sud, precisamente a Cosenza, nasce ed inizia a lavorare Mirko Filice, in arte Kiave. Attivo dal 2002, raggiunge un po’ di popolarità solo nel 2012 quando arriva in semifinale al programma di Mtv, Spit (edizione vinta da Ensi dei OneMic). Il 26 novembre dell’anno scorso è stato pubblicato il suo cd “Solo per cambiare il mondo”: bello, troppo bello per raggiungere visibilità in tv.

Insomma, per gli amanti del vero e sano rap c’è ancora qualcosa di buono in giro – in lingua italiana, s’intende, ma ad una condizione: bisogna saper cercare bene. L’Italia, anche per la musica, resta un Paese dove solo chi si vende fa carriera.

Arianna Luisa Lucania
@twitTagli

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