Obama, il discorso sullo Stato dell’Unione e la disuguaglianza

State Of Union

Il discorso sullo Stato dell’Unione è una di quegli eventi politici americani fra i più seguiti e fra i meno determinanti. Più per tradizione che obbligo, il presidente tiene ogni anno un discorso davanti al Congresso in seduta plenaria, per descrivere le condizioni della nazione. In mezzo alla legittima retorica da campagna elettorale, Obama quest’anno ha detto qualcosa di molto importante.

Il suo quinto discorso avviene in una condizione incomprensibile per noi europei: l’economia va a gonfie vele, lo Zio Sam è tornato a crescere mentre l’Europa continua a stagnare e i paesi emergenti stanno entrando in crisi. Gli Usa sono forse la nazione strutturalmente più forte del globo, ma i sondaggi danno ancora Obama ai minimi storci. La colpa è della politica interna, vedi questione Snowden, riforma sanitaria, stallo coi repubblicani, eccetera.

La grande ripresa americana è sicuramente anche merito di Obama, che non ha mancato di ricordarlo nel discorso. Mentre l’Europa combatteva la crisi con l’austerity, Obama ha varato alcuni piani di stimolo economico che, anche se ritenuti non sufficienti da qualcuno, sono stati sicuramente di più del niente che abbiamo fatto noi. E i risultati si vedono.

Ma è stato un altro l’argomento centrale del discorso, una questione che da anni grava sulla società americana: la disuguaglianza sociale. «Le persone più ricche non sono mai state meglio», ha detto Obama. «Ma i salari sono fermi. La disuguaglianza si è aggravata, la mobilità sociale si è fermata». L’1%, o addirittura lo 0,1% più ricco: Wall Street contro la classe media. La ricetta di Obama è un esempio classico di politica Keynesiana, un aumento del salario minimo. «L’attuale minimo è del 20% inferiore rispetto ai tempi in cui era presidente Ronald Reagan».

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Non è una citazione casuale la sua: Reagan, eletto nel 1981, è stato il primo presidente rappresentante dell’estrema destra repubblicana, che da quell’anno ha preso il controllo del partito. Un cowboy prestato alle banche di Wall Street. Le politiche neoliberiste adottate allora determinarono la fine dell’era della “grande compressione”, che aveva visto la diminuzione del gap fra i più ricchi e i più poveri e la creazione della classe media americana. Dall’era Reagan, con l’ascesa dell’ala neoconservatrice repubblicana, il divario si è sempre più allargato, complici la detassazione sui redditi alti, la deregulation, il taglio dello stato sociale. La crisi economica del 2008 ha ulteriormente peggiorato questo divario.

La conseguenza è ovviamente anche economica; la propensione al consumo di chi non arriva a fine mese è massima: tutto lo stipendio guadagnato viene speso, e la spesa mette in moto l’economia. La propensione dello 0,1% più ricco è minima: la maggior parte dei guadagni viene usata per la speculazione in borsa, rinvestita all’estero o depositata in qualche conto alle Cayman. Alzando il salario minimo Obama vuole ricreare quel ceto medio consumatore che è stato il motore del boom degli anni 50′, e che potrebbe esserlo per il prossimo decennio.

Sono tanti i motivi per cui gli Usa stanno uscendo dalla crisi e noi no. Uno di questi è che hanno un presidente che qualche libro di macroeconomia l’ha letto. E dire che Keynes era perfino europeo.

Luca Gemmi

@LucaGemmi

Ps: se volete esagerare e leggere il testo integrale del discorso del Presidente Barack Obama, lo trovate qui.

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