Danger, keep away! – Ovvero, le 10 cover che nessun principiante emergente dovrebbe mai eseguire live

Le cover, si sa, sono un male necessario. Per qualunque band. Specialmente se alle prime armi e composta da giovani (se non giovanissimi) ancora in cerca del proprio sound, del proprio stile, della propria personalità.

Gruppi raccogliticci, timidi e impacciati, che tentano di costruire il proprio onesto show mettendo insieme pezzi di mostri sacri in modo da catturare l’attenzione del pubblico. Tuttavia, non sempre la cover (specie se suonata e interpretata male) è un male che si è disposti a tollerare.

La relativa facilità con cui sempre più ragazzi e ragazze possono acquistare uno strumento e mettere su una band è direttamente proporzionale al grado di egocentrismo e vanagloria: in altre parole, spesso è più la voglia di apparire, di farsi fighi con gli amici imbracciando uno strumento, che non una reale passione. L’elevato tasso di mortalità dei suddetti gruppi emergenti, la loro generale povertà di idee e di attitudine, nonché la scarsa capacità a livello tecnico-compositivo ne sono indici alquanto lampanti.

Partendo dal presupposto che non pretendo certo di vedermi nascere sotto gli occhi dei novelli Led Zeppelin o similari mentre giro qui e là per la Toscana a recensire questo o quello, c’è d’altro canto un limite a tutto. Il limite è rappresentato dal semplice suonarle male, senza un minimo di stile e di tecnica. Quindi, cari ragazzi e ragazze, se proprio dovete eseguire cover dal vivo, vedete almeno di farvici prima un discreto mazzo. E magari di evitarne alcune nello specifico che, per quanto possa sembrarvi di suonare bene, risulterebbero ostiche anche per un gruppo più navigato, per quanto amici e parenti (tristissimi) spergiurino il contrario.

Se proprio dovete, spendetevi nella composizione di pezzi inediti: per quanto banali, scontati e brutti potranno venirvi fuori, quanto meno sarà farina del vostro sacco. I primi, incerti passi prima di acquisire sicurezza valgono senza alcun dubbio di più dei tentativi di assomigliare ai propri idoli.

10 – My Sharona, The Knack

Scontata come la sciolta dopo un’abbuffata di prugne secche. L’ho sentita e risentita suonare in maniera spesso indecente; a volte invece anche discretamente ma priva di qualunque energia, di potenziale, di coinvolgimento. Nel migliore dei casi i vostri amici (solo loro!) balleranno unicamente perché ne indovineranno il tune, cercando di ignorare e/o dissimulare che la vostra performance è piatta e senz’anima.

Magari non presenta particolari difficoltà a livello tecnico, ma proprio per questo la cura sui dettagli è fondamentale: plettrate, colpi su cassa e rullante, cori e dinamica devono essere calibrati alla perfezione. Stampatevelo in testa: non significa un cazzo se non ci metti il giusto swing (se non cogliete la citazione, fatevi una cultura).

9 – Zombie, The Cramberries

Non se ne può più. Veramente. Avete rotto. Ce l’avete sempre in canna, dovete spararla sempre a un certo punto. Ma non siete in grado, fidatevi. Anche qui, non siamo di fronte a particolari difficoltà tecniche: il brano è abbastanza lineare ed essenziale. Il grosso del problema risiede (aridaje) nell’interpretazione, particolarmente in quella vocale: molto spesso affidata a una ragazza, com’è giusto che sia, la linea vocale si assesta su un’insopportabile tonalità monocorde che fa calare tutto il potenziale del pezzo.

Ve lo giuro, sto ancora cercando un gruppo capace di eseguire almeno decentemente questo pezzo. L’unica cosa su cui potete contare è di catturare il vostro pubblico, ossia il vostro famoso gruppo di amici, che ne echeggerà a squarciagola il refrain come se non ci fosse un domani (come infatti non c’è, almeno per voi).

8 – Smells Like Teen Spirit, Nirvana

Banale, abusatissima. Da anni presente in praticamente tutte le setlist di gruppi alternative rock che cercano di recuperare la tradizione del grunge e del guru Kobain (pace all’anima sua).

Trattasi di un vero e proprio manifesto della generazione adolescenziale anni ’90. Pertanto la rabbia e l’ignoranza dello stile dei Nirvana non vi autorizza a berciarla senza criterio, a suonarla scordati, a lisciarne i passaggi ritmici: anche il pezzo più semplice e selvaggio vuole la sua parte di attenzione, non fate mai l’errore di sottovalutare un brano solo perché semplice “sulla carta” (leggi, sulla tablatura). Se proprio volete suonare un pezzo dei Nirvana almeno sceglietene un altro, di questo ne abbiamo abbastanza.

7 – Blitzkrieg Bop, The Ramones

Vi giuro, lo odio questo pezzo, non lo posso più sentire. Ed è colpa vostra.

Ogni volta che fa capolino mi prende lo sconforto. Da manifesto pionieristico del punk rock, lo avete ridotto a poco più che un brano da piano bar privo di tono e di grinta. Sì, è semplice: 4/4, tre accordi in croce, passaggi essenziali.

Ma ci vuole attitudine, ragazzi miei, a partire dal riff principale fino agli ultimi «Hey! Ho! Let’s Go!» Invece di fare i rockers della domenica, studiate dei cori fatti bene, per cortesia! Date la giusta grinta a quelle chitarre, non è La Canzone del Sole. Date ai colpi di batteria un senso: se avete imparato tre mesi fa a picchiare i tamburi evitate di suonare un brano come questo. Siete di fronte a un pezzo storico: siatene degni interpreti o perite, anche e soprattutto perché il punk è morto. E voi ne siete la prova.

6 – Sweet Child O’Mine, Guns’n’Roses

Posso dirvi che è già irritante il solo sentirvi accennare il tema iniziale? Ma di grazia, cosa pensate di avere nelle dita e nel corpo per potervi sentire anche solo lontanamente capaci di eseguirlo in maniera accettabile?

Vocalmente è praticamente inarrivabile non solo a livello tecnico, ma anche interpretativo. Idem dicasi per il ruolo della chitarra solista. La sessione ritmica, per quanto semplice, ha un ruolo determinante, specialmente durante il bridge. Non me ne frega niente se voi e i vostri amichetti andate pazzi per questa band, se dovete tirarvela per far colpo su qualche sbarbina del pubblico atteggiandovi allo Slash/Axel della situazione: non siete capaci.

Suonatevela fino allo sfinimento a casa/in sala; dal vivo risparmiatecela. Visto come si sono ridotti i Guns (leggi Axel & friends), preferiamo serbarne un buon ricordo.

5 – Highway to Hell, AC/DC.

Ok, gli AC/DC sono famosi per avere un repertorio fondato in buona sostanza su un numero limitato di accordi e su pezzi dall’appeal immediato ed essenziale.

Tuttavia la personalità è vincente, particolarmente quando hai nella band un tipo che risponde al nome di Angus Young alla chitarra: uno di quelli che dal pezzo apparentemente più semplice è capace di torcerti le budella senza troppe difficoltà.

Questo pezzo ne è il tipico esempio, peccato che quando lo interpretate voi si trasforma magicamente in una palla colossale. L’attitudine (ancora), questa sconosciuta. Una sessione ritmica con gli accenti giusti, un cantante con una linea vocale ficcante, un chitarrista presente e doverosamente ispirato: ecco quello che vi manca. Non basta comprarsi la Devil Gibson per far scena, ragazzi miei: bisogna saperla suonare a modo.

4 – Paranoid, Black Sabbath.

Io dico, con tutti i pezzi che questo meraviglioso gruppo ha scritto, perché coverizzate tutti questo qui? E soprattutto, perché lo coverizzate male?!? Ma che vi hanno fatto i poveri Sabbath? Niente, vi hanno solo regalato un pezzo pionieristico, apripista di un’intera temperie hard’n’heavy che conoscerà il suo fiorire un decennio più tardi! Se questo è il ringraziamento siamo a posto.

Aspetto ancora un/una cantante che conosca il testo e non se lo inventi di sana pianta, un chitarrista che non ribalti l’assolo, una sessione ritmica capace di dare un andamento primitivo e vivace al pezzo. Il fatto che Ozzy sia da pensionare e che il povero Iommi non se la passi troppo bene a livello di salute non vi autorizza a esserne delle brutte copie. I giochi a ribasso non ci piacciono, andate a fare i “metallari” da un’altra parte.

3 – Smoke on the Water, Deep Purple

Allora, repetita iuvant: il fatto di sapere quali siano le note da suonare di una canzone non costituisce ragion sufficiente per essere in grado di suonarla. Il caso del classico dei Deep Purple è tipico.

Gli accordi del pezzo sono arcinoti a tutti i chitarristi rock, persino i principianti imparano questo pezzo tra i primi. Ma suonarlo bene è un altro par di maniche. È tra i manifesti di una delle stagioni più floride di sempre per il rock: il livello di difficoltà è già improponibile.

A casa e in studio potete suonarlo male quanto vi pare, dal vivo deve uscirvi una perla altrimenti potete anche lasciar perdere. Il tocco sulla sei corde dev’essere preciso e fluido, il solismo disponibile all’improvvisazione, il supporto ritmico granitico, la voce ficcante e decisa. Pretendo troppo? Non vi ha implorato nessuno di iniziare a suonare, né tantomeno di violentare un classico.

2 – Whole Lotta Love, Led Zeppelin

Mi sorge un dubbio: ma voi ci pensate mai a cosa rappresenta Whole Lotta Love?

Ricordo distintamente le parole di una band emergente, mi pare addirittura al suo primo concerto, che non senza timidezza introdusse così il classico degli Zeppelin: «Vi chiediamo scusa, ora stupreremo un classico del rock». La domanda è: perché? È un dovere, un obbligo, una coercizione? No, non lo è. Siete liberi di non farlo, ve ne saremo infinitamente grati.

Se sapete di non essere in grado perché lo fate? Loro sono i vostri “maestri”, non si meritano questo. Tributategli il giusto onore in altre maniere, non sputtanando voi e un classico del loro repertorio dal vivo. E, per favore, piantatela di simulare orgasmi vocali durante il bridge: siete patetici.

1 – We Will Rock You, Queen

Lasciate perdere, evidentemente non sapete con chi avete a che fare. E se invece lo sapete si tratta di un evidente caso di tracotanza. La commettete incuranti, ma la vostra progenie ne pagherà le conseguenze, come nella migliore delle tradizioni del teatro tragico classico.

Rivelo con un certo sollievo che non siete in molti a spingervi fino a questo punto, ma purtroppo si tratta di un atto che anche se commesso episodicamente lascia segni indelebili. Sarà anche un pezzo semplice ma, lo ripeto fino alla nausea, non basta suonarlo bene/benino.

Non basta neanche suonarlo benissimo.

Deve essere perfetto. Il famoso stuolo di amichetti vi verrà dietro come si vien dietro a un divo per urlare un ritornello che voi neanche sapete lontanamente interpretare. Rassegnatevi, siete la brutta copia della brutta copia: persino le cover band dei Queen spesso deludono. E voi chi vi pensate di essere per esser da meno?

doc. NEMO

@twitTagli

6 risposte a “Danger, keep away! – Ovvero, le 10 cover che nessun principiante emergente dovrebbe mai eseguire live

  1. Wow! Assolutamente geniale, quest’articolo! Se non proprio i pezzi che vanno ai primi 3 posti mi consta annotare che Paranoid dei gloriosi Black Sabbath, viene quasi diabolicamente fatto a pezzi da ragazzi che forse sarebbe meglio andassero a fare gli scaricacasse in qualche industria metallica, tanto è il rumore assordante che producono che forse Ozzy e il “mancino” Iommi, secondo me, se ne uscirebbero sordi!

  2. Ti ringrazio per l’apprezzamento. E in effetti il pezzo dei Sabbath è qualcosa di virale, il rispetto per i classici si perde quando tutti vogliono essere rockstar. Ti posso comunque garantire che, almeno nella mia esperienza personale, anche i primi tre posti vengono abusati e letteralmente martoriati.

  3. caro Nemo, ti sei scordato una canzone..se il gruppo è un po’ più “moderno” la canzone che non mancherà MAI sarà Killing in the name dei RATM

  4. Ciao Eddie. Guarda, ti dirò, nella mia esperienza non ho ancora incontrato gruppi che coverizzassero i RATM e, nello specifico, “Killing in the Name”. Probabile che sia dovuto al fatto che gli emergenti pescano di regola i “grandi classici” piuttosto che i pezzi più recenti. Persino i gruppi dell’area crossover/nu metal che mi è capitato di ascoltare tendono a non spingersi fino alla cover del classico dei RATM. Mi sento di dire dunque che “Killing in the Name” non rientri tra le cover più abusate tra emergenti/principianti 🙂

  5. articolo spettacolare!
    Eddie ha ragione, Killing in the Name merita una menzione particolare perché è una canzone che chiunque faccia quel genere di musica DEVE sonare. Proprio DEVE, è un obbligo morale.
    E io aggiungerei anche Baschet Cheis dei Grin Dei che c’ha rotto un po’ le balle pure lei…

  6. Ciao Guasta e grazie per l’apprezzamento e il contributo. Su “Killing in the Name” ribadisco quanto detto sopra: nella mia esperienza è capitato di rado che qualche gruppo (anche del genere) si azzardasse a farla. Ergo, non la trovo così abusata e martoriata da giovani promesse (?) musicali alle prime armi. Dirò di più, fuori concorso ci sarebbero almeno altri 2-3 brani che volevo inserire ma ho infine rimosso per rientrare nella “top 10”: “Enjoy the Silence”, Depeche Mode; “Nothing Else Matters”, Metallica; e “Californication”, Red Hot Chili Peppers. Non avete idea di quante volte le ho sentite rifare (male) e stuprare (ahimé anche troppo bene). Grazie comunque delle vostre osservazioni!

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